LA CHIESA EDIFICIO
NELLA LITURGIA “RINNOVATA”
Il Concilio Vaticano II, proposti
i principi ispiratori della riforma liturgica, indica anche le norme da tener
presenti nell'ambito dell'edilizia di culto, degli arredi e degli stili
artistici.
Nel n. 128 della Sacrosanctum
Concilium si legge:
"Si rivedano quanto prima,
insieme ai libri liturgici, i canoni e le disposizioni ecclesiastiche che
riguardano il complesso delle cose esterne attinenti al culto sacro, e
specialmente quanto riguarda la costruzione degna e appropriata degli edifici
sacri, la forma e la erezione degli altari, la nobiltà, la disposizione e la sicurezza
del tabernacolo eucaristico, la funzionalità e la dignità del battistero, la
conveniente disposizione delle sacre immagini, della decorazione e
dell'ornamento. Quelle norme che risultassero meno rispondenti alla riforma
della liturgia siano corrette o abolite; quelle invece che risultassero
favorevoli siano mantenute o introdotte".
I primi orientamenti concreti
vennero con la pubblicazione del documento applicativo "Inter
Oecumenici" (26 settembre 1964).
La prima affermazione circa la
disposizione delle chiese è la seguente:
"Nel costruire nuove chiese,
o nel restaurare quelle già esistenti ci si preoccupi diligentemente della loro
idoneità a consentire la celebrazione delle azioni sacre secondo la loro vera
natura, e ad ottenere la partecipazione attiva dei fedeli" (n. 90).
Sono due i criteri di base
proposti dal testo: 1) nella chiesa devono potersi realizzare dei riti secondo verità, capaci di esprimere pienamente ciò
che intendono comunicare;
2) lo spazio chiesastico deve accogliere un'assemblea
celebrante, soggetto primario dell'azione
liturgica.
Da ciò consegue una revisione dei
singoli spazi: l'altare maggiore viene staccato dalla parete rendendolo
"centro ideale a cui spontaneamente converga l'attenzione di tutta
l'assemblea" (n. 91); la sede del "celebrante" deve essere
visibile da parte dei fedeli così che sia recepita come lo spazio da cui si
esercita un servizio di presidenza dentro l'assemblea (n. 92); viene abolito
l'uso di edificare altari minori (n. 93); viene data l'opportunità di porre il
tabernacolo al di fuori dell'altare maggiore e del presbiterio (n. 95); è
ripristinato l'ambone come struttura privilegiata per la proclamazione della
Parola di Dio.
Particolare rilievo è dato allo
spazio riservato ai fedeli: "Si studi con diligenza la
disposizione dei posti per i fedeli, affinché questi possano partecipare nel
modo dovuto alle sacre celebrazioni con lo sguardo e con lo spirito. Conviene che normalmente si
pongano per loro dei banchi o dei sedili. Si provveda, anche con l'aiuto dei
moderni mezzi tecnici, che i fedeli possano non solo vedere, ma anche udire
senza difficoltà il celebrante e i ministri" (n. 98).
Queste prime indicazioni furono
sviluppate e chiarite prima nel capitolo quinto dell'introduzione al Messale
Romano (PNMR 253-280) e in seguito nelle ricchissime introduzioni del
Pontificale Romano circa i riti di posa della prima pietra e di dedicazione
della chiesa e dell'altare. Questi testi sono il punto di
riferimento imprescindibile per la progettazione di nuove chiese.
Ad essi si aggiunge la nota
pastorale della Commissione episcopale della CEI per la liturgia "La
progettazione di nuove chiese" (18 febbraio 1993).
Circa lo stile da utilizzare è
sempre attuale il dettato conciliare:
"La Chiesa non ha mai avuto come proprio un particolare stile artistico,
ma, secondo l'indole e le condizioni dei popoli e le esigenze dei vari riti, ha
ammesso le forme artistiche di ogni epoca, creando così, nel corso dei secoli,
un tesoro artistico da conservarsi con ogni cura. Anche l'arte del
nostro tempo e di tutti i popoli e paesi abbia nella Chiesa libertà di
espressione, purché serva con la dovuta riverenza e il dovuto onore alle
esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti. In tal modo essa potrà
aggiungere la propria voce al mirabile concento di gloria che uomini eccelsi
innalzarono nei secoli passati alla fede cattolica" (Sacrosanctum Concilium 123).