31 maggio 2018

Culto nel Nuovo Testamento

Mentre il culto della prima alleanza si era materializzato attorno all’offerta di vittime esteriori (“senza spirito”, a-logos), Gesù viene per ripristinare il vero culto, l’unico richiesto da Dio al momento dell’alleanza e costantemente richiamato dai Profeti: se ascolterete, se osserverete la mia parola… Io sarò per voi il Signore Dio vostro, voi sarete per me il popolo mio (cf Es 19, 5-6). Dando compimento alle figure antiche, Gesù assomma in sé tutte le istituzioni cultuali di Israele: Egli è il è il vero tempio-abitazione di Dio tra gli uomini (Gv 1,14; cf Is 7,14), il vero ed eterno sacerdote (Eb 8,6; 7,24), il vero e perfetto sacrificio (Eb 9,14-23). Egli è vittima, sacerdote ed altare.
Solo il Figlio unico ed eterno del Padre, prendendo una natura come la nostra, poteva offrire al Padre non più sangue di animali, ma il proprio sangue; non più qualcosa di esterno, di materiale e di caduco, ma se stesso, la propria vita. E questo sacrificio egli lo compie non più con una volontà soggetta all’umana debolezza, come i sacerdoti dell'antica legge (cf Eb 7,26-28), ma nella comunione amorosa dello Spirito Santo (cf Eb 9,14), che gli consente di compiere un atto di amore infinito verso il Padre con un cuore di carne, cioè per mezzo dell'offerta del suo corpo fatta una volta per sempre (cf Eb 10,4-10; 9,12-15). Facendosi solidale con noi fino all'esperienza della morte, Cristo compie la sua donazione al Padre e ci ottiene la salvezza. Un sacrificio, il suo, costituito dall'amore con cui egli si dona a noi per compiere la volontà del Padre. D'ora in poi non avrà ragione di esistere altro sacrificio al di fuori di quello che Gesù Cristo ha offerto una volta per sempre al Padre; è infatti per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del suo corpo (Eb 10,10). «Egli al contrario, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati una volta per sempre si è assiso alla destra di Dio, aspettando ormai solo che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi. Poiché con un'unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati. Questo ce lo attesta anche lo Spirito Santo. Infatti dopo aver detto: “Questa è l'alleanza che io stipulerò con loro dopo quei giorni, dice il Signore: io porrò le mie leggi nei loro cuori e le imprimerò nella loro mente, dice: E non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità” (Eb 10,12-17).

19 maggio 2018

La Pentecoste quale espressione piena dell'Amore

"Quando verrà lui, lo Spirito della Verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future" (Gv. 16, 13).


Lo Spirito Santo: questa potenza di Dio che plasma e dà vita! Lo Spirito rigenera e risorge, guida ed irrobustisce. Proviamo allora ad addentrarci dentro all'espressione evangelica e a comprenderla maggiormente.
Partiamo dall'affermazione di san Giovanni nella sua Prima Lettera: "Dio è amore" (1Gv. 4, 16).
L'essenza di Dio è la carità, è l'amore: totale, continuamente eccedente; senza distinzione di persona, questo amore è per tutti. È l'amore che spinge il Padre a donare al mondo il Figlio; è l'amore che spinge il Figlio a portare la Buona Notizia ad ogni uomo; è l'amore che spinge ad accogliere, guarire, perdonare, ridonare fiducia e speranza.

Sant'Agostino, nella sua opera "De Trinitate" (Sulla Trinità), descrive molto bene e in maniera chiara la sua visione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo:
"Che è dunque l’amore o carità, tanto lodato e celebrato dalle divine Scritture, se non l’amore del bene? Ma l’amore suppone uno che ama e con l’amore si ama qualcosa. Ecco tre cose: colui che ama, ciò che è amato, e l’amore stesso. Che è dunque l’amore se non una vita che unisce, o che tende a che si uniscano due esseri, cioè colui che ama e ciò che è amato? È così anche negli amori più bassi e carnali, ma per attingere ad una fonte più pura e cristallina, calpestiamo con i piedi la carne ed eleviamoci fino all’anima. Che ama l’anima in un amico, se non l’anima? Anche qui dunque ci sono tre cose: colui che ama, ciò che è amato, e l’amore. Ci rimane di elevarci ancora e cercare più in alto queste cose, per quanto è concesso all’uomo di farlo. Ma riposiamo per il momento un po’ la nostra attenzione, non perché essa ritenga di aver trovato già ciò che cerca, ma come si riposa di solito colui che ha trovato il luogo in cui deve cercare qualche cosa; non l’ha ancora trovata, ma ha trovato dove cercarla. Che queste riflessioni ci bastino e siano come il primo filo a partire dal quale noi tesseremo il resto della nostra trama" (De Trinitate, VIII 10.4).
Anche in questo brano ci viene offerto un ulteriore chiarimento e che ci fa dire, con assoluta certezza, che lo Spirito Santo è amore.

Torniamo al nostro versetto iniziale del Vangelo di Pentecoste. Ricordando il passo della lettera giovannea, che attesta Dio come amore; avendo ascoltato la testimonianza di un Padre della Chiesa come sant'Agostino, in merito allo Spirito come amore, possiamo asserire che lo Spirito Santo racconterà se stesso quale modello e attuazione piena dell'amore divino per ogni uomo, per tutta l'umanità: "...dirà tutto ciò che avrà udito...". Egli stesso è il Consolatore che il Padre e il Figlio donano: carità che diventa generosità, unità e speranza, misericordia e accoglienza.
Perché è quando si è amati che si trova il coraggio di amare; è quando si ha la percezione della propria finitezza che si accoglie l'immensità e ci si dà da fare per donarla agli altri. Questo è il fuoco dell'amore, il fuoco dello Spirito Santo. Il fuoco della Pentecoste, che ancora scende abbondante sull'umanità!

12 maggio 2018

Dal sensus fidei al sensus iuris

Cari lettori, vi scrivo in merito ad un argomento molto delicato e che mi sta a cuore dal punto di vista pastorale. Oggi stiamo vivendo forti e veloci cambiamenti non solo socialmente e culturalmente, ma anche spiritualmente. Oggi la fede - per come è vissuta - non è più la stessa di 30 o 40 anni fa; oggi, causa una cultura relativista (di benedettina memoria!) che ha spianato la strada ad una società liquida, ha fatto si che anche la fede diventasse un "fai da te". Io credo ciò che mi serve in questo momento e ne ho tutto il diritto. 
Così facendo, appunto, passo da un sensus fidei (vivo la fede in ciò che mi trasmette) ad un sensus iuris (ho diritto a vivere la fede come voglio). Proprio perché oggi si vive la cultura del diritto e non del dovere, in tutti i settori della vita - come una moda - ci si sente liberi e sbarazzini in tutte le cose importanti e fondamentali.
Mi sentirei di affermare che l'unico diritto che i fedeli possono vantare nei confronti della fede e del vangelo, è quello di aderirvi o meno con tutto il cuore. Il Signore Dio e la Madre Chiesa non obbligano nessuno a seguire gli insegnamenti evangelici; tuttavia, da un cristiano, si chiede la coerenza intellettuale e culturale con ciò che ha accettato di vivere nella fede. Ricordiamo le parole di Gesù: "nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio" (Lc. 9, 62).
La fede è un dono che Dio riserva a tutti e chi sceglie di accoglierlo, non può addomesticarlo a proprio uso e piacimento; Dio non è un qualcosa che uso quando mi fa comodo: non si presta a questi giochetti da quattro soldi. La fede non è uno strumento per gonfiare ulteriormente l'egocentrismo e il narcisismo di tante persone. La fede è il dono di grazia che mi aiuta a scoprire il Signore e a seguirlo, poiché si avverte il bisogno di Lui nella propria esistenza. A tal proposito esiste una nota della Commissione Teologica Internazionale del 2014, dal titolo "Il sensus fidei nella vita della Chiesa". Aiutiamoci a riscoprire la bellezza della fede nella sua totalità; aiutiamoci a viverla interamente, anche in quelle pieghe che non sempre ci fanno stare tranquilli e sereni; aiutiamoci a camminare insieme, senza paura e senza vergogna con Cristo buon pastore!
 
 

2 maggio 2018

La freschezza di una vita pacificata

 
E' con emozione che mi accingo a scrivere qualche riga su un'esperienza che mi ha toccato nel profondo: il mio primo pellegrinaggio a Lourdes. Sono tornato ieri, ma non riesco ancora a trovare le parole adatte per esprimere ciò che sento. Andare a Lourdes è stato come entrare in contatto con le sofferenze dell'umanità; come scorgere che quello fisico è solo la punta di un male ancora più grande: un male interiore, morale e spirituale che le persone si portano dentro come un macigno, dal quale riesce faticoso scostarsi. Ma recarsi a Lourdes - per me - ha significato sperimentare nuovamente una pace e una tranquillità che pervade anima e cuore e che ti fa sentire bene. E' come se ci si recasse a trovare una persona che già ti stava aspettando: un appuntamento segreto, profondo, spirituale, eppure emozionante ed impegnativo. Consiglio a tutti di visitare e frequentare il santuario di Nostra Signora di Lourdes: possa divenire un appuntamento annuale che aiuta la nostra fede, la irrobustisce e che ci rende coraggiosi testimoni dell'amore e della misericordia di Dio.