25 luglio 2018

Celebrare nello spazio 8


GLI ARREDI LITURGICI 4

SEDE
Il verbo "presiedere" (dai termini latini prae-sedere = essere seduto davanti) non è ricorrente nel Nuovo Testamento, ad usarlo è solo S. Paolo in riferimento a coloro che hanno il compito di dirigere una comunità. L’uso biblico di questo termine non è liturgico, ma designa l’attività globale dei vescovi e dei presbiteri come capi di una comunità.
Nell’uso attuale si scorge quasi esclusivamente un significato liturgico. È pur vero che, poiché la liturgia - e soprattutto la celebrazione eucaristica - è culmine e fonte di tutta la vita della Chiesa, la presidenza liturgica avrà il suo pieno significato alla luce di tutta l’attività della comunità.
Per il presbitero quindi la presidenza liturgica è "culmine" e "fonte", punto di arrivo e punto di partenza, di tutta l’azione pastorale. Chi presiede un’assemblea liturgica, ovvero chi è "seduto davanti" ad un’assemblea, deve poter rendere visibile il proprio ministero di guida; è quindi indispensabile la realizzazione di uno spazio adatto a questo scopo: una "sede" speciale.
Ecco come la sede presidenziale è descritta nell’introduzione al messale:
"La sede del sacerdote celebrante deve mostrare il compito che egli ha di presiedere l’assemblea e guidare la preghiera. Perciò la collocazione più adatta è quella rivolta al popolo, al fondo del presbiterio, a meno che non vi si oppongano la struttura dell’edificio e altri elementi, ad esempio la troppa distanza che rendesse difficile la comunicazione tra il sacerdote e l’assemblea." (PNMR, 271).
Infatti tutta la disposizione della chiesa deve presentare l’immagine del corpo nel quale Cristo è la testa e i fedeli sono le membra. Non più separazione tra navata e presbiterio, tra fedeli e presidente, ma reciproca convergenza, comunicazione e complementarità. La celebrazione cristiana è posta in atto da tutto il Corpo mistico; in essa il presidente rende visibile la presenza di Cristo-Capo.
È un luogo dal quale il presidente non esercita il proprio dominio ma la disponibilità al servizio, come pone bene in evidenza la preghiera di benedizione di una nuova sede: "Signore Gesù Cristo, tu comandi ai pastori della Chiesa non di farsi servire, ma di servire umilmente i fratelli; assisti coloro che da questa sede presiedono la tua sana assemblea; fa che proclamino con la forza dello Spirito la tua parola e siano fedeli dispensatori dei tuoi misteri perché, insieme con il popolo loro affidato, ti lodino senza fine davanti al trono della tua gloria" (Benedizionale, p512).
La sede presidenziale è da concepire come "spazio celebrativo" e non come struttura funzionale alla posizione seduta del presidente. Così come un leggio non realizza simbolicamente un ambone, un qualsiasi sedile non è assolutamente una sede presidenziale.
Diremo, quindi, che è lo "spazio" della sede per la presidenza liturgica che deve contenere un sedile adeguato. Inoltre, in tale spazio, il presidente della celebrazione deve poter stare anche in piedi nei momenti opportuni, perciò sarà bene dotare la sede anche di una pedana confacente. Dalla sede il presidente, seduto, ascolta le letture e tiene l’omelia; in piedi, presiede i riti di inizio della messa, introduce e conclude la preghiera dei fedeli, pronuncia la preghiera dopo la comunione, benedice e congeda l’assemblea.
Là dove fosse necessario, è bene studiare la posizione più conveniente del microfono e del supporto che lo regge. Per quanto possa sembrare una banalità, spesso cavi e aste per microfoni diventano vere e proprie trappole per presidenti liturgici. Anche lo spazio della sede può essere efficacemente posto in risalto da un’adeguata illuminazione.
Purtroppo è spesso ingombrato e occultato da vistosi leggii o dallo stesso altare. In sede di progettazione è sempre opportuno curare la non sovrapposizione delle strutture celebrative, soprattutto della sede che spesso è la più trascurata.
 
 

21 luglio 2018

Celebrare nello spazio 7


GLI ARREDI LITURGICI 3

AMBONE
Il termine "ambone" indica il "luogo elevato" (deriva infatti dal verbo greco anabàinein che significa salire) da cui si proclamano i testi biblici durante le liturgie. Nella celebrazione della messa l’altare e l’ambone segnano - attraverso una duplice dimensione spaziale - i due poli celebrativi comunemente noti come liturgia della parola e liturgia eucaristica.
La Costituzione conciliare sulla Divina Rivelazione afferma:
"La Chiesa ha sempre venerato le Divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli" (Dei Verbum, 21).
È quindi chiara la relazione che intercorre tra ambone e altare. Questa connessione fra le "due mense" dovrebbe condurre architetti e artisti a realizzare dei progetti che evidenzino anche stilisticamente questo reciproco legame. Strutturalmente l’ambone è realizzato secondo sistemi architettonici e stilistici diversi, e nel corso della storia ha avuto collocazioni diverse all’interno dell’aula liturgica.
Le indicazioni funzionali proposte da Principi e Norme per l’uso del Messale Romano sono sufficientemente chiare:
"Conviene che tale luogo generalmente sia un ambone fisso e non un semplice leggio mobile. L’ambone, secondo la struttura di ogni chiesa, deve essere disposto in modo tale che i ministri possano essere comodamente visti e ascoltati dai fedeli" (n. 272).
Inoltre le Precisazioni CEI invitano a non utilizzare l’ambone come supporto per altri libri all’infuori dell’Evangeliario e del Lezionario (cfr. n. 16).
L’ambone è una struttura che contiene anche il leggio per riporvi i libri delle Scritture, ma un semplice leggio non costituisce un ambone. Pertanto, come nel caso dell’altare, l’ambone non va concepito come un arredo ma come una spazio architettonico armonizzato con l’ambiente che lo accoglie e con le altre strutture. L’ambone non ha bisogno di essere ricoperto da drappi e altri ornamenti. Una sobria confezione floreale può porlo in risalto ma mai occultarlo o renderlo difficilmente accessibile e funzionale.
È bene curare un illuminazione adeguata per assicurare una buona visibilità dell’ambone da parte dell’assemblea e una perfetta leggibilità dei testi da parte dei lettori.
In molte chiese sprovviste di ambone fisso si nota la presenza di due leggii: uno per la proclamazione della Parola, l’altro per reggere il messale presso la sede: può anche trovarsi un terzo leggio per la guida dell’assemblea. Ci si potrebbe chiedere: quale di queste strutture è la sede della Parola di Dio dato che spesso infatti sono leggii uguali? Se una chiesa è sprovvista di un ambone fisso la sede della proclamazione della Parola deve potersi distinguere dalle altre strutture che funzionalmente sono uguali (servono tutte per sostenere dei libri) ma simbolicamente sono ben diverse.
Molto bella la sottolineatura di J. Aldazábal:
"Una lettura, da qualunque posto venga proclamata ha sempre lo stesso valore. Ma è certamente più espressivo l’annuncio fatto alla comunità da un luogo riservato e degno: è la cattedra dalla quale Dio ci parla, il vero trono della sapienza dal quale Cristo si rivela nostro unico Maestro. Una Parola che ci viene dall’alto, non inventata da noi. Una Parola trasmessa con la mediazione della Chiesa, non per iniziativa privata".
Circa l’utilizzo dell’ambone è bene ricordare che da esso si proclamano esclusivamente le letture e il salmo responsoriale. Con una "formula concessiva" Principi e Norme (n. 272) afferma: "ivi inoltre si può tenere l’omelia e la preghiera dei fedeli". L’omelia è da tenersi preferibilmente alla sede (cfr. n.97).
Infine è espressamente affermato che "non è conveniente che all’ambone salga il commentatore, il cantore o l’animatore del coro". L’uso improprio dell’ambone comporta un impoverimento della portata simbolica che esso deve trasmettere durante le celebrazioni.
 
 

15 luglio 2018

Celebrare nello spazio 6


GLI ARREDI LITURGICI 2

ALTARE
L’altare non può essere assolutamente considerato un "arredo liturgico", esso è infatti uno "spazio celebrativo" di carattere architettonico. Sono purtroppo ancora numerosi gli edifici chiesastici sprovvisti di un altare le cui caratteristiche corrispondano alle indicazioni del diritto liturgico (cfr. Principi e norme per l’uso del Messale Romano, nn. 259-267; Precisazioni CEI, n.14).
Non bisogna quindi meravigliarsi se spesso tale struttura è da considerarsi un arredo, e, in molte situazioni, di pessima qualità funzionale, estetica e simbolica. Dal punto di vista funzionale e strutturale l’altare è un "tavolo" - preferibilmente fisso e di materiale solido e degno (è da privilegiare la pietra naturale) - opportunamente preparato (tovaglia, ceri, fiori...) per un momento sacrificale-conviviale. Su di esso devono poter essere agevolmente posati, al momento opportuno, la patena con il pane e il calice con il vino per la celebrazione dell’Eucaristia. Inoltre sul suo piano si è soliti porre - secondo attenzioni più o meno garbate - il messale e il microfono.
In molte chiese l’altare è una vera e propria credenza. C’è di tutto: teca con la riserva di ostie, quaderno per gli avvisi, libretto o foglio dei canti, lastre di vetro o fogli di plastica trasparente, messale, chiave del tabernacolo, occorrente per il lavabo, leggio e microfono ingombranti, fiammiferi...
I termini "altare" e "mensa" sono utilizzati come sinonimi poiché indicano funzionalmente la medesima struttura ma rivelano una sottolineatura simbolica differente. Si è soliti riferire il termine altare all’aggettivo latino altus (= elevato). L’altare è quindi il luogo elevato che serve da punto di congiungimento tra Dio e il mondo.
Per questo le cime di montagne e colline sarebbero stati i luoghi privilegiati per la loro edificazione. Ma l’etimologia più corretta sembra essere quella che fa derivare questo vocabolo dal verbo latino ad-oleo, il cui significato è "far bruciare, offrire un sacrificio, far salire il profumo dell’offerta verso la divinità".
Altare indica quindi la dimensione sacrificale della celebrazione che in esso si svolge. Anche il termine mensa deriva direttamente dal latino. Indica il tavolo conviviale in cui vengono disposti cibi e bevande per la consumazione di un pasto. Questo vocabolo indica la dimensione conviviale-comunionale dell’atto sacramentale che si realizza sulla mensa.
I praenotanda del Rito di Dedicazione di una Chiesa pongono in evidenza il valore simbolico dell’altare a partire dai gesti che il vescovo compie su di esso. Con l’unzione del crisma, l’altare diventa simbolo di Cristo, il Consacrato per eccellenza. L’incenso bruciato sull’altare significa che il sacrificio di Cristo e le preghiere dei fedeli salgono a Dio in odore di soavità. La copertura dell’altare attraverso la tovaglia indica che esso è insieme luogo del sacrificio eucaristico e mensa del Signore. Sacerdote e fedeli vi celebrano il memoriale della morte e risurrezione di Cristo e partecipano alla Cena del Signore.
È per questo che l’altare, mensa del convito sacrificale, viene preparato e ornato a festa (fiori). I ceri accesi ricordano che Cristo risorto è luce per illuminare le genti. (cfr. Pontificale Romano, Premesse al rito di dedicazione della chiesa e dell’altare, n.42).
La portata simbolica dell’altare chiarisce il senso dei gesti di venerazione che si compiono verso di esso. I ministri ordinati (diaconi, presbiteri e vescovi) sono soliti baciare l’altare all’inizio e alla fine della celebrazione, mentre tutti gli altri ministri e i fedeli fanno un inchino. Il bacio all’altare - gesto eccessivamente ripetuto prima della riforma liturgica - è un segno di venerazione molto antico che indica rispetto e amore alla mensa in cui si celebra l’Eucaristia e a Cristo stesso. È un atto di fede verso Cristo-Roccia (1Cor 10,4) sul quale il ministro si appoggia con sicurezza nell’atto di baciare l’altare.
 
 

8 luglio 2018

Celebrare nello spazio 5

GLI ARREDI LITURGICI

L’articolazione delle celebrazioni cristiane comporta l’utilizzazione di diversi oggetti, strutture fisse o mobili, suppellettili, vasi sacri. Con il termine generico "arredi liturgici" si è soliti indicare tutti quegli oggetti che servono in qualche modo all’esercizio della liturgia. Anche la riforma liturgica conciliare ha trattato questo argomento:
"Con speciale sollecitudine la Chiesa si è preoccupata che la sacra suppelleile sevisse con la sua dignità ebellezza al decoro del culto, ammettendo nella materia, nella forma e nell'ornamento quei cambiamenti che il progresso della tecnica ha introdotto nel corso dei secoli" (SC 122).
Gli arredi liturgici devono rispondere a tre caratteristiche principali: la funzionalità, la significatività e l’estetismo artistico.
 
1. La funzionalità.
La caratteristica della funzionalità è imprescindibile: gli arredi liturgici devono poter essere utilizzati con praticità a seconda dell’uso che se ne deve fare. La funzionalità degli arredi è da stabilire in base al luogo in cui vengono usati e in base a coloro che li usano. Pensiamo, ad esempio, come risulti inutile l’utilizzazione di un piccolo ostensorio in una grande aula celebrativa. Spesso capita di vedere dei giovanissimi ministranti gravati dal peso di candelieri o croci processionali fuori dalla loro portata. Legato al discorso della funzionalità è quello della manutenzione e cura degli oggetti che spesso risultano inutilizzabili a causa dell’usura.
 
2. La significatività.
L’uso di un oggetto liturgico non è fine a se stesso, deve infatti comunicare qualcosa a qualcuno. Dall’arredo liturgico deve emergere non solo la funzionalità ma il segno liturgico che con esso si vuole realizzare. A questo proposito sarà bene utilizzare per la loro realizzazione i materiali più adatti e significativi. Anche la significatività degli oggetti liturgici può essere sottolineata o impoverita a seconda della loro collocazione, della illuminazione dell’ambiente, del modo di usarli da parte dei ministri. È inoltre legata alla capacità dei fedeli di comprendere la portata simbolica dell’oggetto stesso e del suo determinato uso. Una catechesi sul valore simbolico degli oggetti liturgici farà sì che tale significatività sia colta con precisione e immediatezza.
 
3. L’estetismo artistico.
Il Concilio afferma: "Fra le più nobili attività dell'ingegno umano sono annoverate, a pieno diritto, le belle arti, soprattutto l'arte religiosa e il suo vertice, l'arte sacra. Esse, per loro natura, hanno relazione con l'infinita bellezza divina che deve essere in qualche modo espressa dalle opere dell'uomo, e sono tanto più orientate a Dio e all'incremento della sua lode e della sua gloria, in quanto nessun altro fine è stato loro assegnato se non quello di contribuire il più efficacemente possibile, con le loro opere, a indirizzare religiosamente le menti degli uomini a Dio. Per tali motivi la santa madre Chiesa ha sempre favorito le belle arti, ed ha sempre ricercato il loro nobile servizio, specialmente per far sì che le cose appartenenti al culto sacro splendessero veramente per dignità, decoro e bellezza, per significare e simbolizzare le realtà soprannaturali; ed essa stessa ha formato degli artisti" (SC 122).
La bellezza non è qualcosa che viene ad aggiungersi all’utilità e simbolismo dell’oggetto. L’estetica fa parte della funzione stessa dell’oggetto-segno.