Il Concilio di Nicea II°
Con l'avvento al trono imperiale
di Irene, fervente sostenitrice del culto delle immagini, la crisi iconoclasta
conobbe una svolta. L'Imperatrice decise di convocare un concilio e Papa
Adriano I diede la sua approvazione. Dopo un difficile inizio, dovuto ai
tentativi di sabotaggio da parte della fazione iconoclasta, l'assemblea dei
Vescovi, riunita a Nicea nel 787, definì, innanzitutto, i criteri in base ai
quali riconoscere l'ecumenicità di un concilio. Sono criteri di grande
interesse, poiché fu la sola volta in cui un concilio cercava di definire le
condizioni in base alle quali un'assemblea sinodale può essere ritenuta
ecumenica. Un concilio, per essere recepito come tale, deve vedere la
partecipazione, o almeno l'invio di rappresentanti, del papa e dei quattro
patriarcati apostolici; deve professare una dottrina coerente con quella dei
precedenti concili ecumenici; deve essere recepito dai fedeli. In base a questi
criteri fu negata l'ecumenicità del Sinodo di Ieria del 754 e invalidate le sue
decisioni; fu affermata la legittimità del culto delle immagini e vennero
inoltre approvati ventidue canoni disciplinari, tra i quali vanno ricordati
quelli relativi al divieto delle interferenze dei poteri mondani sull'elezione
dei vescovi, alla proibizione ai vescovi di partecipare ai traffici
commerciali, all'obbligo di convocare annualmente un sinodo diocesano. Si
tratta di norme che eserciteranno una forte influenza sulla legislazione
ecclesiastica medievale.
La dottrina delle immagini fu definita nella sesta sessione. Così recita la
definizione: “Procedendo sulla via regia, seguendo la dottrina divinamente
ispirata dei nostri santi padri e la tradizione della Chiesa cattolica -
riconosciamo, infatti, che lo Spirito Santo abita in essa - noi definiamo con
ogni rigore e cura che, come la raffigurazione della croce preziosa e
vivificante, così le venerate e sante immagini, sia dipinte che in mosaico o in
qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle sante chiese di
Dio, sulle sacre suppellettili, sulle vesti sacre, sulle pareti e sulle tavole,
nelle case e nelle vie; siano esse l'immagine del Signore Dio e Salvatore
nostro Gesù Cristo, o quella della purissima Nostra Signora, la Santa Madre di
Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e i giusti. Infatti, quanto più
frequentemente queste immagini sono contemplate, tanto più quelli che le
contemplano sono innalzati al ricordo e al desiderio dei modelli originari e a
tributare loro, baciandole, rispetto e venerazione. Non si tratta certo di
un'adorazione, che la nostra fede tributa solo alla natura divina, ma di un
culto simile a quello che si rende all'immagine della croce preziosa e vivificante,
ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri, onorandoli con l'offerta di
incenso e di lumi secondo il pio uso degli antichi. L'onore reso all'immagine,
in realtà, appartiene a colui che vi è rappresentato e chi venera l'immagine,
venera la realtà di chi in essa è raffigurato” (Concilio di Nicea II, Definizione).
Ma nonostante le solenni affermazioni del Concilio di Nicea, la lotta
iconoclasta non si arrestò. La stessa ecumenicità del Concilio fu negata, in
Occidente, da Carlo Magno nel Sinodo di Francoforte del 794; in Oriente,
l'Imperatore Leone V (813-820) inaugurò la seconda fase della lotta iconoclasta
e della persecuzione degli iconoduli. Soltanto nel marzo dell'843, un sinodo
convocato per iniziativa dell'Imperatrice Teodora e del Patriarca di
Costantinopoli Metodio, reintrodusse definitivamente il culto delle immagini e
istituì, a commemorazione di tale evento, “la festa dell'Ortodossia”, tuttora
celebrata nella Chiesa d'Oriente la prima domenica di Quaresima. Tale festa
celebra la vittoria dell'iconodulia e la definitiva conferma della cristologia
elaborata dai primi sei concili ecumenici, dottrina che è alla base della
venerazione delle icone.