In Isaia ci è stato detto di "rivestirci di luce"; ora, nel prologo di Giovanni ci viene riferito che la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta (Gv. 1,5). Con un ragionamento semplice, potremmo affermare che il Verbo - fattosi carne - è la luce non accolta. Quindi, Gesù Cristo è quella luce venuta per la nostra salvezza e che il profeta c'invita ad indossare, assumere, fare nostra.
Una luce questa, che nel Vangelo di Matteo provoca un mettersi in moto, un mettersi in cammino. Infatti, proprio seguendo la luce della stella, i sapienti orientali hanno percorso la loro strada, senza sapere dove andavano e che cosa li aspettava. Nella fede, noi decifriamo questo viaggio come il cammino spirituale che ogni uomo è invitato a compiere, per raggiungere la pienezza della vita. Sapersi definire, insomma, pellegrini dell'Assoluto. Spesso ci possiamo identificare con Erode: un re cupo, violento, che fa di tutto per raggiungere i propri scopi. Un uomo che pensa fondamentalmente a se stesso e al proprio benessere. Eppure questo uomo ha paura di un bambino, di un neonato. Anche per ciascuno di noi è difficile confrontarsi con la verità, ricordando ciò che dice Gesù: Io sono la via, la verità e la vita. La verità spalanca un faro di luce sulle zone d'ombra della nostra vita; illumina quei vizi o difetti che ciascuno vorrebbe relegare nel dimenticatoio, pensando così di aver risolto i problemi. Ma non è così. La luce di Cristo, come spada a doppio taglio, entra in profondità dentro di noi, non per mettere il dito nella piaga, bensì per darci una rinnovata possibilità di guarigione e di salvezza.
Imitiamo i santi magi; iniziamo il santo viaggio verso la luce della nostra realizzazione. Verso la nostra eterna felicità.
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