L'Icona nella teologia e nella liturgia
Uniti nella medesima tradizione,
Oriente e Occidente sono insorti insieme contro chi distruggeva il culto delle
immagini, perché nel rifiuto delle icone vedevano il rifiuto del mistero stesso
dell'Incarnazione. E difendendo l'immagine del Dio fatto uomo, il Concilio di
Nicea ha voluto difendere anche l'immagine divina presente nell'uomo. Accanto
all'icona di Cristo, vi sono le icone dei santi, di coloro che, secondo la
spiritualità orientale, hanno ritrovato in se stessi l'immagine di Dio e, in
sinergia con lo Spirito Santo, sono pervenuti alla somiglianza con Cristo. I
santi sono i “somigliantissimi”, icone viventi, trasparenza della presenza del
Regno su questa terra. “È sintomatico - scrive Pavel Evdokimov - che
l'iconoclastia, al momento della sua massima violenza, colpisce al tempo stesso
le icone, la vita monastica, il culto dei santi e la divina maternità della
Teotokos” (La teologia della bellezza, tr. di G. Vetralla, Roma 1971, p.
196). “Non è contro le icone che tu lotti, ma contro i santi”, scrive Giovanni
Damasceno all'Imperatore Leone III (Discorsi sulle immagini II, 10). E
il Niceno II dichiara: “Sia attraverso la contemplazione della Scrittura, sia
attraverso la rappresentazione delle icone ... noi ci ricordiamo di tutti i
prototipi e siamo introdotti presso di loro”. Contemplare un'icona non è un
fatto estetico, ma un evento spirituale. L'icona rappresenta un appello alla
conversione, un invito ad acconsentire a quell'opera di trasfigurazione di cui
parla Paolo nella seconda lettera ai Corinti 3, 18: “Tutti noi, che a viso scoperto
riflettiamo come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati a sua
stessa immagine, di gloria in gloria, per azione dello Spirito”.
La controversia iconoclasta si concluse con una dottrina ecclesiastica
ufficiale delle immagini. L'icona trovò posto nelle abitazioni dei fedeli;
ancor oggi, l'immagine sacra, dinanzi alla quale arde un piccolo cero, veglia
dall'alto su quelli che abitano la casa. L'uso liturgico delle immagini venne
regolamentato; nessuna icona di santo poteva essere messa allo stesso rango
dell'icona di Cristo e della Vergine; solo il santo cui era dedicata la chiesa
aveva un posto particolare. L'antico cancello che separava il Santo (ndr. presbiterio)
dall'assemblea, dopo il Concilio niceno II si riempie di icone e si trasforma progressivamente
nell'attuale iconostasi. Si introdusse l'uso, tuttora in vigore, di collocare
l'icona della festa del giorno su di un pulpito ed esporla così alla
venerazione dei fedeli. A partire dal VII secolo, è testimoniato il bacio alle
icone; dopo la crisi iconoclasta si cominciò a baciare le icone anche durante
la liturgia.
Ma anche la stessa “scrittura” delle icone - graphein in greco indica
sia l'atto di scrivere che quello di dipingere - fu normata da canoni
conciliari. La Chiesa veglia sull'autenticità dell'iconografia, che non è una
semplice creazione di un'opera d'arte, ma un'opera spirituale, compiuta nella
preghiera e nell'ascesi. L'uso “altro” della prospettiva, delle dimensioni e
delle proporzioni dei corpi, degli edifici e degli oggetti, il simbolismo dei
colori, il fondo dorato e il sapiente gioco di luci e di ombre fanno dell'icona
una finestra che si apre sul mondo divino. Anche l'icona dei santi non è mai un
ritratto; essa vuole offrire alla contemplazione dei fedeli “l'uomo nascosto
nel profondo del cuore” di cui parla l'apostolo Pietro (1Pt 3, 4),
l'immagine di Dio celata nel profondo dell'essere che il santo ha fatto
riemergere nella sua vita.
Ma l'icona non è patrimonio
esclusivo della chiesa d'Oriente. A Roma esisteva da un tempo imprecisato
un'antica icona della Vergine che, secondo la leggenda, era stata dipinta da
Luca e un'icona “non dipinta da mani d'uomo” di Cristo. Nel corso dell'VIII
secolo, l'Italia diede riparo a icone orientali che venivano sottratte alla furia
iconoclasta. Il Patriarca Germano racconta che un'icona di Maria fuggì alla
volta di Roma, viaggiando sulle acque; più tardi fu chiamata “Maria la romana”.
L'icona di Cristo era collocata nella cappella privata del papa nella residenza
del Laterano; in occasione della festa dell'Assunzione della Vergine, il 15
agosto, veniva portata solennemente in processione a Santa Maria Maggiore, dove
si trovava l'icona dipinta da Luca. Papa Adriano I (772-795) fece dono alla
basilica di San Pietro di due gruppi di tre grandi icone. Proprio a Roma si è
sviluppata allora una notevole decorazione musiva a mosaico che ancora oggi si
può ammirare in varie Basiliche: Santa Cecilia, San Marco a Piazza Venezia e
Santa Prassede.
Come in Oriente, così anche in
Occidente l'uso delle icone nella liturgia viene regolamentato. Nei secoli
successivi l'Occidente, pur ispirandosi alle icone orientali, elaborerà un
proprio modello iconografico.