Due persone, due mentalità diverse, due
modi di vivere la fede: questi sono il fariseo e il pubblicano di cui ci parla
Gesù. Entrambi si ritrovano a pregare davanti al Signore, ma le motivazioni che
li spingono sono contrapposte.
Il fariseo si trova davanti, prega
ringraziando Dio perché non è come gli altri; tiene un atteggiamento sostenuto
«io so, io valgo, mi onoro di guardare dall’alto al basso gli altri e sono
felice di esserne diverso».
Il pubblicano invece sa di non essere un
buon ebreo, non ha il coraggio di andare davanti e sta in fondo al Tempio, sa
che la categoria alla quale appartiene non è tra le più oneste, eppure la sua
preghiera è sincera, rivolta al Signore per il suo stato personale: “Abbi
pietà di me peccatore”.
L’errore che compie il fariseo è quello di
lodare se stesso, attraverso una preghiera dissacrante che rivolge a Dio per
disprezzare e giudicare il prossimo. Egli non apre la porta del cuore
all’incontro con il Signore, ma rimane asserragliato sulle sue posizioni, in un
monologo cinico e tenebroso.
Ciò che invece gioca a favore del
pubblicano è che, nonostante i propri errori e peccati non rimane chiuso in sé,
ma cerca in Dio la strada della sua redenzione e libertà; cerca ossigeno per la
propria esistenza, capace di ridare valore e importanza ad una vita senza luce
e senza via d’uscita. Dischiude la porta della sua vita riconoscendosi
peccatore e bisognoso della misericordia divina.
Di quest’ultimo Gesù afferma che se ne
tornò a casa “giustificato”, cioè capito e accolto da Dio, portandosi
appresso una speranza e una fiducia nuove.
Vari sono i modelli che Gesù ci propone
nel Vangelo: oggi ci pone di fronte il pubblicano. Il suo atteggiamento,
l’analisi della sua vita e la successiva richiesta di perdono, diventino per
ciascuno di noi impegno forte e costante nel riconoscerci fragili e bisognosi
dell’aiuto del Signore, per fare della nostra vita un giardino di luce.